
Il blackout che ha colpito la Spagna e il Portogallo il 28 aprile 2025 non è stato soltanto un evento tecnico: è stato un campanello d’allarme. Un’interruzione improvvisa e massiva dell’elettricità ha paralizzato vaste aree della penisola iberica per diverse ore, dimostrando quanto possa essere vulnerabile un sistema elettrico nazionale, anche in un Paese all’avanguardia nella produzione da fonti rinnovabili.
Secondo fonti ufficiali, in pochi secondi la rete spagnola ha perso circa 15 GW di capacità attiva, pari a quasi il 60% del fabbisogno elettrico nazionale. Le cause non sono ancora del tutto chiarite, ma l’ipotesi più accreditata riguarda un disaccoppiamento della rete elettrica tra la Spagna e la Francia, che avrebbe innescato un effetto domino di disconnessioni lungo tutta la penisola iberica.
Il blackout ha bloccato metropolitane, treni, ospedali e servizi pubblici in città come Madrid, Siviglia, Valencia e Barcellona. Ha lasciato milioni di cittadini al buio e ha avuto impatti anche sulle telecomunicazioni e sulla sicurezza pubblica. Un evento del genere, in un Paese che è stato spesso indicato come modello di transizione ecologica, merita un’analisi profonda.
Spagna: potenza rinnovabile, rete debole
La Spagna è da anni uno dei leader europei nella produzione da fonti rinnovabili. Nel 2024, ben il 56% dell’elettricità è stata prodotta da fonti green: 23% da eolico, 20% da fotovoltaico, 13% da idroelettrico. L’ambizione del governo è arrivare all’81% entro il 2030, con oltre 28 GW di nuova capacità rinnovabile già autorizzata solo nel 2024 e investimenti per oltre 18 miliardi di euro.
Tuttavia, questa impressionante crescita della generazione non è stata accompagnata da un adeguato sviluppo delle infrastrutture di rete, degli accumuli energetici e delle tecnologie di bilanciamento. Come confermato da Red Eléctrica, il gestore della rete spagnola, non sono state le rinnovabili in sé a causare il blackout, ma la mancanza di strumenti tecnici per gestirle e integrarle in sicurezza in caso di eventi estremi.
Un paragone scomodo: Spagna e Italia
Se la Spagna ha corso veloce verso le rinnovabili, l’Italia ha mostrato un passo più cauto. Eppure, proprio questa apparente lentezza potrebbe offrire al nostro Paese un vantaggio competitivo se sapremo fare tesoro degli errori altrui.
Nel 2024, le fonti rinnovabili in Italia hanno per la prima volta superato quelle fossili nella produzione elettrica. Ma la rete elettrica nazionale è fragile, spesso congestionata, e la burocrazia ostacola la connessione di nuovi impianti. Inoltre, l’accumulo energetico è ancora poco diffuso e la normativa è spesso incoerente con gli obiettivi della transizione.
Le Comunità Energetiche come soluzione strutturale
In questo scenario, le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) rappresentano una delle soluzioni più promettenti. Consentono la produzione e il consumo locale di energia, alleggeriscono il carico sulla rete nazionale e promuovono la resilienza energetica dei territori.
Tuttavia, in Italia, norme miopi e restrittive ne limitano lo sviluppo. In particolare:
- Gli impianti fotovoltaici ed eolici realizzati prima dell’entrata in vigore del Decreto CACER non possono partecipare alle CER, nonostante siano perfettamente funzionanti e spesso sottoutilizzati.
- L’eccessiva centralizzazione delle regole e la lentezza nell’approvazione dei progetti impediscono una diffusione rapida delle comunità.
- Manca un piano nazionale di riforma della rete che accompagni la crescita delle rinnovabili con investimenti mirati a stabilizzarla, digitalizzarla e decentralizzarla.
Queste assurde limitazioni non solo escludono risorse già esistenti, ma rendono la rete più fragile, con pericolose immissioni non coordinate di energia. Al contrario, integrare questi impianti in comunità locali significherebbe ridurre le perdite, rafforzare la rete e creare valore per i territori.
Il blackout spagnolo non è un incidente isolato. È un avvertimento. La transizione energetica non è solo una questione di produzione, ma anche di distribuzione, accumulo e governance. L’Italia non può permettersi di ripetere gli stessi errori.
Occorrono:
- Investimenti urgenti nella rete elettrica, per renderla più intelligente, resiliente e capillare.
- Riforme normative che permettano alle CER di includere impianti esistenti e incentivino realmente la partecipazione dei cittadini.
- Un piano nazionale per decentralizzare la produzione e il consumo, riportando l’energia al centro della vita delle comunità locali.
Le Comunità Energetiche non sono un accessorio della transizione, sono l’unico modello sostenibile a lungo termine per bilanciare produzione e consumo, generare coesione sociale e proteggere il sistema da eventi estremi.
Conclusione:
Il blackout del 28 aprile è la prova che la transizione ecologica non può basarsi solo su MW installati. Serve una visione sistemica: senza reti adeguate, accumulo e governance locale, anche il Paese più virtuoso rischia il buio. L’Italia ha ancora tempo per evitare questo destino. Ma il tempo stringe.
by sdm
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