COP30, la conferma di un fallimento globale: quando la politica tradisce la transizione ecologica

La COP30 di Belém passerà alla storia come la conferma di una verità che da anni denunciamo: la politica internazionale non è all’altezza della sfida climatica. Mentre il mondo corre verso i 2,5–2,7°C di riscaldamento globale, la Conferenza delle Parti si chiude con un accordo al ribasso, privo di coraggio e svuotato di contenuti.

Un compromesso che salva solo la faccia, non il clima.


🌱 Un compromesso che tradisce le aspettative

Il cuore del negoziato riguardava ciò che dovrebbe essere ovvio: una road map chiara per l’uscita dai combustibili fossili.
E invece no.

L’Arabia Saudita e i Paesi produttori di petrolio e gas hanno imposto la loro linea, cancellando qualsiasi riferimento operativo all’abbandono dei fossili. L’Unione Europea, pur decisa a fare muro, ha finito per accettare un testo debole pur di non tornare a casa a mani vuote.

Una resa diplomatica spacciata per equilibrio geopolitico.

Si è salvata solo una formula vaga: “transition away from fossil fuels”.
Una frase senza calendario, senza impegni, senza responsabilità.
Un auspicio, non una decisione.


🇺🇸 L’assenza degli Stati Uniti: la ferita che ha bloccato tutto

Come se non bastasse, la COP30 ha dovuto fare i conti con l’assenza pesante degli Stati Uniti e con il sostegno dichiarato di Donald Trump alla linea saudita.
Nel momento più delicato della storia del clima, la prima potenza mondiale si è chiamata fuori, lasciando i negoziati paralizzati.

E i Paesi più vulnerabili — quelli che già oggi subiscono inondazioni, siccità e tifoni devastanti — sono rimasti senza voce.


💰 Sul fronte dell’adattamento: passi avanti, ma lontani dal necessario

L’unico spiraglio arriva dalla finanza per l’adattamento.
L’Africa chiede aiuti concreti, riceve promesse.
Si triplicano i fondi, ma rimangono briciole rispetto al fabbisogno reale: servono almeno 310 miliardi l’anno e oggi ne arrivano meno di 26.

Ancora una volta, la politica chiude gli occhi davanti alla matematica della crisi climatica.


🌳 Amazzonia e foreste: il paradosso della COP amazzonica

Che proprio alla COP amazzonica non si arrivi a nessun risultato strutturale sulle foreste è un paradosso politico e morale.

L’Europa, che avrebbe dovuto essere guida e garante, arriva indebolita da compromessi interni e pressioni industriali.
Il Brasile chiede più impegni, ma resta inascoltato.
I popoli indigeni — i primi custodi della biodiversità — continuano a essere dimenticati.

Non ci sono meccanismi vincolanti.
Non c’è un piano serio contro la deforestazione.
Non c’è una visione.


🇪🇺🇮🇹 E l’Europa? E l’Italia? Un silenzio che pesa

Come opinion leader della transizione ecologica non posso non dirlo:
l’Italia e l’Europa sono state politicamente irrilevanti.

  • L’UE fa la voce grossa in pubblico ma arriva a COP30 indebolita da pressioni interne e compromessi agricoli.
  • L’Italia, invece, ha abdicato a un ruolo di leadership che avrebbe potuto giocare.

La transizione ecologica è diventata un terreno di scontro ideologico, anziché un pilastro strategico.
E così, anche quando serve una posizione forte, coesa e visionaria… prevale la timidezza.

Un’Europa che non guida.
Un’Italia che non incide.
Un mondo che si accontenta.


🔥 Una COP che lascia l’amaro in bocca, ma non la resa

La COP30 si chiude senza una road map concreta, senza obiettivi misurabili, senza una strategia globale credibile.
Eppure la crisi climatica avanza.
E avanza più velocemente della politica.

Per chi crede davvero nella transizione ecologica, questa COP è l’ennesima conferma che la spinta non può venire dalle diplomazie, ma dai territori, dalle imprese, dai professionisti e dalle comunità energetiche.

Io continuerò a fare la mia parte, come sempre.
Perché la transizione ecologica non aspetta i compromessi della politica.
E nemmeno noi.

Salvatore De Martino

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *