
L’Europa torna a parlare di clima e ambiente, ma questa volta lo fa con un retrogusto amaro. La Commissione UE ha ufficializzato il nuovo target di riduzione delle emissioni: -90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. Numeri imponenti, roboanti, da manifesto elettorale green. Ma a guardarli bene sembrano più un compromesso politico che un reale piano strategico industriale.
Perché se da un lato Bruxelles conferma l’ambizione, dall’altro introduce “più flessibilità”. Una flessibilità che sa tanto di passo indietro: per raggiungere quel 90% sarà possibile acquistare crediti verdi fino al 3% da Paesi extra-UE, ad esempio finanziando riforestazioni nei Paesi in via di sviluppo. In pratica, ci compriamo la coscienza pulita, mentre la decarbonizzazione industriale europea rimane al palo.
La polemica politica non si è fatta attendere. In Italia la Lega parla di provvedimento “scollegato dal mondo reale”, Fratelli d’Italia di rischio di “desertificazione produttiva”, Confindustria ricorda che servirebbe un piano industriale vero, non un sogno ideologico. E come dar loro torto? La stessa Ursula von der Leyen, regista del Green Deal europeo, sembra barcamenarsi tra l’ideologia ambientalista e la realtà geopolitica ed economica. Così si arriva a questa nuova proposta: un Clean Industrial Deal che prova a conciliare industria e ambiente, ma rischia di non salvare né l’una né l’altro.
La verità è che l’Europa confonde ideologia con strategia, sogni con piani industriali, numeri con realtà. Mentre gli “elettrostati” come Cina e Arabia Saudita costruiscono potenza energetica per dominare la nuova economia globale, noi europei continuiamo a sbandierare target senza investire su approvvigionamento, infrastrutture e ricerca. Serve un piano industriale europeo che non lasci soli gli Stati membri a fronteggiare transizioni costosissime. Serve una politica comune sull’energia, finanziata anche con debito comune, e serve subito. Perché come dice qualcuno, “la politica è l’arte del compromesso, ma le transizioni richiedono coraggio e visione”.
Oggi l’Europa appare più impegnata a indorare la pillola piuttosto che affrontare il problema alla radice: come decarbonizzare senza distruggere competitività e occupazione. L’ennesimo compromesso sul clima rischia di essere l’ultimo chiodo sulla bara dell’industria europea, già messa in ginocchio da politiche energetiche sbagliate e da una transizione che sembra più una corsa cieca dentro un tunnel senza uscita.
Cara Europa, la verità è che non serve un altro target, serve un piano. Un piano vero, concreto, industriale. Prima che il Green Deal diventi solo un green dream. E poi un green incubo.
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